La prima parte dell’itinerario si sviluppa all’interno di un’estesa prateria alpina, una formazione vegetale tipica delle quote sopra i 2.000-2.200 metri, quindi oltre il limite degli alberi, dove si hanno condizioni climatiche estreme con temperature basse e neve per gran parte dell’anno. A differenza dei prati e pascoli creati dall’uomo, le praterie alpine sono di origine naturale. Qui crescono alcune tra le più famose varietà floreali alpine come la stella alpina, il camedrio alpino, l’astro alpino, la nigritella e diverse specie di genziana e garofano, tutte perfettamente adattate alle estreme condizioni date dalla siccità, dal freddo e dal vento. La presenza di malghe e costruzioni in prossimità di Passo Feudo testimonia come in passato queste praterie fossero sfruttate per far pascolare vari animali domestici o per lo sfalcio dell’erba, attività che da diverso tempo non vengono più svolte a quote così elevate. La varietà di fiori delle praterie alpine richiama anche innumerevoli insetti tra cui farfalle, coleotteri, grilli e cavallette. Anche la marmotta vive in questo ambiente, così come ermellini, lepri alpine, pernici bianche e camosci. Nonostante l’aspetto brullo, quindi , questi luoghi, spesso a rischio a causa del cambiamento climatico, sono estremamente affascinanti e ricchi di specie, anche di interesse conservazionistico, sia vegetali sia animali.
Dal punto di vista geologico la salita al Rifugio Torre di Pisa rappresenta un ideale, accademico percorso verticale lungo un tratto della cosiddetta colonna stratigrafica delle Dolomiti: risalendo idealmente nel tempo dallo Scitico (250 milioni di anni fa) al Ladinico (fino a 231 milioni di anni fa) si possono infatti ammirare dapprima i morbidi pendii erbosi del Passo del Feudo (q. 2.121), modellati nella friabile formazione di Werfen, si toccano poi brevemente le formazioni carbonatiche delle dolomie anisiche ed infine si risalgono le pendici dell’antico atollo corallino del Latemar, segmentato e tormentato successivamente da intrusioni e fenomeni vulcanici.
La formazione di Werfren è caratterizzata da rocce fittamente stratificate e dai colori vivaci, depositatesi in ambienti costieri di mare basso, simili a quelli attualmente presenti sulle coste dell’attuale Mare Adriatico o, ancor meglio, visto il clima di allora, alla parte costiera arabica del Golfo Persico. In questa formazione si riscontrano spesso i calchi delle increspature della fanghiglia sabbiosa (ripple marks) che anche oggi notiamo sul bagnasciuga, brecce ed accumuli di conchiglie, sabbie, argille, in alcuni fortunati casi calchi di stelle marine ecc. Nel corso dell’Anisico (240-235 milioni di anni fa) alcune zone della regione si sollevano per poi iniziare nuovamente a sprofondare; la sedimentazione in ambiente marino a basse profondità riprende e si viene a creare un discreto spessore di calcari e dolomie, alto da 50 a 200 m, che genera un caratteristico gradino alla base di molti gruppi dolomitici (Formazione di Contrin). La regione dolomitica sprofonda successivamente in modo non uniforme ed ha inizio la formazione delle scogliere ladiniche: il fenomeno ha inizio attorno a 235-236 milioni di anni fa e nei successivi tre o quattro milioni di anni si registra uno sprofondamento generale di circa 1.000 metri. Sulle sommità dei blocchi di sedimenti anisici, che rimangono più in superficie, attecchiscono attivissime comunità costituite da organismi marini, rappresentati soprattutto da alghe, spugne e coralli. I fondali si abbassano ma gli organismi producono quantità di carbonato di calcio così abbondanti che riescono a mantenere a profondità costanti e contenute le sommità delle scogliere, che parallelamente riescono ad espandersi anche lateralmente. A quel periodo risalgono le spettacolari scogliere ladiniche che costituiranno poi gli attuali gruppi del Latemar, delle Pale di San Martino, dello Sciliar, del Catinaccio, del Sassolungo, del Sella, del Odle ecc. Non tutte, però, hanno avuto in sorte il destino di trasformarsi in Dolomia del Serla, la roccia che oggi costituisce alcune tra le più belle e famose montagne dolomitiche. Nel caso del Latemar ed anche della Marmolada, per esempio, il calcare non si è trasformato in dolomia e questo fatto rappresenta ancor’oggi un mistero.
Abbiamo abbandonato i morbidi prati impostati sulla formazione di Werfen, abbiamo incontrato il primo più consistente gradino delle dolomie anisiche ed il paesaggio è cambiato: i prati sono coperti da candidi blocchi di detrito di falda (dolomie), poi il pendio prende ad inerpicarsi con pendenza costante e ci troviamo sui fianchi di un’antica isola, un atollo immerso nell’antico mare e che, infine, giunti presso il Rifugio Torre di Pisa, cambia assetto ed assume una conformazione più pianeggiante. Superate le scarpate laterali, infatti, siamo giunti alla sommità dell’antica isola: gli strati rocciosi orizzontali che ci si presentano ora, guardando verso il cuore del gruppo del Latemar, si sono formati sul fondo di una tranquilla laguna tropicale, ricca di vita, come testimonia l’abbondanza di Ammoniti (fossile di cefalopode dalla tipica conchiglia a forma di spirale) nelle analoghe formazioni rocciose triassiche delle Dolomiti ed anche del Latemar che, per quantità e varietà di faune, sono tra le più ricche, importanti e studiate al mondo.
Queste isole tropicali preistoriche non sono però destinate a durare a lungo. Circa 235 milioni di anni fa si attiva il vulcano di Predazzo, uno dei più grandi del periodo Triassico. Nel giro di 1-2 milioni di anni grandi quantità di lava si riversano sulle isole e sul fondo dei mari di allora, colmandoli e – fatto più unico che raro – permettendo loro di essere riconsegnati ai posteri, nella loro veste e forma originaria, laddove l’erosione ha poi asportato i più cedevoli depositi vulcanici. In profondità, dal centro del vulcano si dirama una fitta rete di fratture e condotti che iniettano lava nelle soprastanti rocce sedimentarie. Molti filoni penetrano nei calcari della scogliera del Latemar e del Monte Agnello, arrivando in alcuni casi fino in superficie. Le rocce scure, infatti, si incontrano salendo lungo la scarpata ripida che ci conduce al rifugio. A seguito dell’orogenesi alpina, venendo sollevate in alto tutte queste formazioni ed essendo esposte all’azione degli agenti atmosferici, si attiva il processo di modellazione che, asportando più velocemente le rocce vulcaniche dei filoni, permette l’isolarsi di blocchi, prismi di calcari ladinici, che poi danno forma alle favolose e leggendarie guglie che donano particolare grazia e fascino alle parti sommitali del Latemar (come per esempio la famosa Torre di Pisa, la guglia poco lontana dall’omonimo rifugio).
Per poter meglio approfondire questi aspetti è assolutamente da visitare a Predazzo il Museo geologico e, poco a sud del Passo del Feudo, l’Itinerario geologico del Doss Capel.