Brenta e orso: due nomi che da soli evocano meraviglia, stupore e bellezza e che, forse, trovano completezza l’uno nell’altro. Da sempre le selve che ricoprono le valli impervie e selvagge di queste montagne hanno ascoltato i passi e il respiro del grande e misterioso orso bruno (Ursus arctos): il “Re”, la cui imponente presenza ha reso forse ancora più unica e affascinante questa parte di Trentino.
L’orso è un grosso mammifero di struttura robusta con un peso che in ambiente alpino può superare i 200 kg per gli esemplari maschi, mentre le femmine arrivano a pesarne solitamente poco più della metà. Benché appartenente all’ordine dei Carnivori, solo occasionalmente si nutre di carne; viene infatti definito un “onnivoro opportunista” in quanto si adatta al tipo di alimento più abbondante e facilmente accessibile, generalmente vegetali, ma anche carne ed insetti quando disponibili. Scomparso da gran parte dell’arco alpino a metà del secolo scorso, l’orso è rimasto, con pochi sparuti individui, solo sul gruppo del Brenta. All’inizio degli anni ’90 l’assenza di nascite suggeriva che in breve anche gli ultimi superstiti della popolazione, che da millenni abitava le Alpi, sarebbero stati destinati a sparire forse per sempre. Per scongiurare la fine di questa specie emblematica, tra gli anni 1999 e 2002, nell’ambito del progetto “Life Ursus”, vennero rilasciati nel cuore del Parco Naturale Adamello Brenta dieci giovani orsi provenienti dalla Slovenia. L’ottimo habitat, l’abbondanza di cibo e la presenza di luoghi ancora tranquilli ne hanno favorito il rapido ed iniziale incremento numerico e spaziale. Attualmente in Trentino sono stimati circa 100 esemplari di orso con le femmine segnalate esclusivamente in una parte del Trentino occidentale, mentre i maschi si spostano maggiormente ed occupano un’area più ampia. Generalmente l’orso è un animale solitario e schivo che evita, nel limite del possibile, l’incontro con l’uomo e gli incontri con altri orsi, ad eccezione del breve periodo degli amori e delle femmine con la prole. In gran parte dei territori europei abitati dal plantigrado, infatti, la persecuzione e il disturbo da parte dell’uomo ha indotto nell’orso una modifica nei suoi ritmi di attività e nella sua distribuzione spaziale al fine di evitare diverse fonti di disturbo antropico. L’orso bruno ha così adottato un comportamento crepuscolare e notturno, con picchi di attività prima dell’alba e dopo il tramonto, con conseguente sfasamento rispetto all’attività umana, tipicamente concentrata nelle ore di luce. Questo atteggiamento non si verifica, però, in altri posti del mondo, ad esempio in America, dove l’orso vive in zone con un minore, se non nullo, impatto umano.
Fra timori e fascinazioni, favole e leggende, su queste montagne l’orso continua a percorre antichi sentieri, a scavalcare valichi e nascondersi in buie spelonche: un legame tra un re e la sua montagna che, fortunatamente, non si è mai interrotto.
Brenta e Dolomiti: il secondo affascinante binomio. Le valli che costituiscono i confini fisico-geografici del massiccio montuoso ricalcano in gran parte l’andamento delle strutture geologiche che hanno guidato la genesi di questo territorio; tra esse la Linea del Tonale, a nord-ovest (Val di Sole), ed il fascio di faglie della Linea delle Giudicarie, a ovest (Val Rendena e Giudicarie). Proprio quest’ultima complessa e sorprendente struttura ha permesso al rigido blocco tonalitico dell’Adamello-Presanella (rocce intrusive risalite nella crosta terrestre tra i 42 ed i 29 milioni di anni fa) di essere traslato verso sud di circa 10 km rispetto al vicino gruppo delle Dolomiti di Brenta, con spostamenti differenziati anche in senso verticale, mentre nel contempo l’erosione ha provveduto a smantellare e modellare profondamente i due blocchi contrapposti. Oggi possiamo trovare, disposti uno di fronte all’altro, due gruppi montuosi dalla genesi, morfologia ed età completamente differente, le tonaliti ad ovest della Val Rendena e le dolomie a est. Nelle dolomiti si sono potute sviluppare tra le più curiose e fantastiche morfologie, costituite da vertiginosi pinnacoli, guglie – tra queste il famosissimo Campanil Basso – e maestose pareti strapiombanti, principali terreni di gioco sui quali è stata scritta una buona parte della storia dell’alpinismo trentino. Il tracciato che ci conduce dal Rif. Graffer al Rif. Tuckett si sviluppa prevalentemente su caratteristici affioramenti di Dolomia Principale, un tenace carbonato doppio di calcio e magnesio al quale si deve la spettacolarità delle morfologie, nonché i cangianti ed ammalianti colori che si susseguono con il mutare delle ore del giorno. Sul finire del periodo Triassico, verso i 220 milioni di anni fa, si registrò in zona una parentesi di uniformità ambientale durante la quale, in clima tropicale e su immense piane costiere alternativamente e ciclicamente invase dalle acque di un basso mare, soggette quindi a forte evaporazione, si assiste alla deposizione dei sedimenti fangosi dai quali poi si genererà la Dolomia Principale. La formazione, facilmente riconoscibile per la fitta stratificazione (di qui le famose cenge del Brenta) e la colorazione bianco-giallastra con striature grigio scuro, raggiunge complessivamente spessori variabili tra i 600 m nei settori orientali del massiccio ed i 1.500 m in quelli occidentali. Il notevole spessore è dovuto a quello che fu il lento e continuo fenomeno dell’abbassamento del fondale marino (subsidenza) e la continua compensazione di nuovi apporti di sedimento. In tal modo le condizioni batimetriche e paleoambientali delle sterminate piane si sono conservate per alcuni milioni di anni, permettendo l’accumulo di pile di centinaia e centinaia di metri di spessore di fanghi carbonatici che, successivamente, arricchiti di magnesio, hanno costituito la straordinaria successione di dolomia. In qualche tratto di sentiero si ha l’occasione di camminare proprio sulle superfici di strato denudate, potendo così vedere e toccare con mano ciò che furono milioni e milioni di anni fa le antiche spiagge o i bassi fondali tropicali.