Era il 25 novembre del 2018 quando una delegazione della SAT volò a Melamchi con l’obiettivo di aiutare a tracciare il primo percorso escursionistico in Nepal, in una delle zone maggiormente colpite dal devastante terremoto del 2015. Con l’aiuto dei volontari della Commissione sentieri, un gruppo di giovani addetti municipali e amministratori locali hanno potuto partecipare ad un corso di formazione su mappatura percorsi, cartografia, segnaletica e uso del GPS. E così ecco tracciati due sentieri che attraversano villaggi rurali, terrazzamenti coltivati a riso, miglio e patate, fino a raggiungere i 3780m dello Yangri Peak.

Ma facciamo un passo indietro… dove nasce questo incontro? Da una richiesta del Sindaco della cittadina e Garima Voyage, agenzia di viaggi sostenibile nata nel 2017 con l’obiettivo di creare un turismo dall’impatto etico sulla popolazione e il suo sviluppo sociale ed economico, valorizzandone territorio e tradizioni culturali. Garima Voyage nasce da Federica Riccadonna e Rabindra Aryal e dall’incontro di visioni comuni ed impegno per le comunità nepalesi.

Nel 2019 lo scambio e l’escursione fino al Rifugio Stivo in compagnia di una delegazione nepalese. Da qui l’accordo di ritrovarsi ancora in Nepal per continuare la realizzazione di itinerari, questa volta ad ovest del fiume Indrawati.

Con il sostegno della SAT, il lavoro di Garima include l’apertura di nuovi trekking – oltre che le prime vie ferrate del Nepal! – partendo da sentieri esistenti utilizzati per attività locali, formazione, utilizzo della segnaletica standard rosso/bianco, apposizione segnaletica verticale e raccolta dati che ha permesso di realizzare delle mappe, trasformate anche in materiale promozionale.

L’esperienza dei volontari SAT in Nepal non segna un punto di arrivo, ma l’inizio di una collaborazione e di un’amicizia senza tempo, che nasce da valori condivisi come tutela e valorizzazione dell’ambiente montano, anche attraverso un turismo “a passo lento”, consapevole.

La rete creatasi è davvero una cima in continua evoluzione, che ogni anno si evolve in qualcosa di nuovo e sempre emozionante. Come la storia di giovani ragazzi e ragazze, professionisti, che hanno scelto di raccontare attraverso un docufilm un mondo dove le abitudini occidentali vengono stravolte, per farci riflettere su valori sopiti. Sarà un lungo viaggio ma auguriamo a tutti un buon lavoro, in attesa di poterci riempire gli occhi di tanta bellezza!

Ecco il racconto di Kevin Cortella, regista sceneggiatore e narratore, rientrato da poco assieme al team composto da Caterina Cozzio, Alessandro Polla, Marco Giovanni Ferrario, Veronica Gori.

Foto di Alessandro Polla

“Garima”, il documentario per mostrare la “dignità” del popolo nepalese

Sei giovani, un’agenzia di turismo sostenibile e un obiettivo: la ricerca del vero Nepal.

Sono le 11:30 del mattino. Il Sole picchia, forte come non avrei mai pensato potesse picchiare a metà novembre a quasi 2.000 metri in Nepal.

Ci siamo appena fermati per fare l’ennesima ripresa: un uomo sprona i suoi due buoi a spingere sempre più in profondità l’aratro, mentre un ragazzo, zappa alla mano, cerca di correggere eventuali imperfezioni. L’uomo indossa pantaloni lunghi e un maglione, entrambi neri; il ragazzo una tuta e una maglietta, anch’essi color pece. Sulla testa di quest’ultimo un berretto con visiera con il celebre logo “NY” impresso sopra.

Li guardo con interesse, con curiosità, ma allo stesso tempo provo un profondo senso di ingiustizia. Perché se quel ragazzo fosse nato a New York – proprio come recita il suo berretto – la sua vita sarebbe stata completamente diversa: avrebbe probabilmente potuto studiare, guadagnare uno stipendio maggiore dei 180 € che di media guadagna un nepalese, avere una speranza di vita superiore ai 65 anni, delle scarpe, dei calzini. E invece è qui, madido, a zappare con occhi bassi, fermi e forse rassegnati al loro destino.

E penso sia ingiusto, tremendamente ingiusto che al mondo possano ancora esistere queste disparità. E quindi penso che sia giusto, profondamente giusto ciò che stiamo facendo: raccontare la verità di un Paese che al mondo sembra essere conosciuto solo per le sue montagne, che, incantevoli, rischiano di far dimenticare ciò che esiste nei fondovalle.

È con questo scopo che il primo di novembre siamo salpati dall’aeroporto di Orio al Serio, dopo quasi tre anni da quella sera, da quella pizza davanti alla quale iniziò a lievitare l’idea di realizzare un documentario che mostrasse il Nepal come la patria dei nepalesi, piuttosto che come la patria dell’Himalaya. Tre anni in cui, non senza fatiche e battute d’arresto, siamo riusciti a raccogliere i fondi sufficienti a finanziare questa spedizione, questo progetto indipendente portato avanti da tre ragazzi trentini, due milanesi e un romano, grazie al fondamentale supporto morale e logistico di Garima Voyage, un’agenzia italo-nepalese che dal 2017 ha introdotto nel Paese asiatico il concetto di turismo sostenibile, ossia di un turismo che diventi promotore e custode del territorio, della cultura e delle sue persone.

Sono bastate ventiquattr’ore dall’atteraggio per essere catapultati nell’essenza di questo Paese, ben diversa dal traffico, dal caos e dallo smog di Kathmandu: immense vallate scolpite da infiniti terrazzamenti e dipinte dalle sfumature dei diversi cereali coltivati; strade che noi definiremmo mulattiere e che mai ci azzarderemmo a percorrere con le nostre lussuose e linde macchine; volti segnati dagli anni nei campi sotto il sole cocente, desiderosi di essere guardati, studiati, inquadrati dagli occhi di chi non pecca della presunzione di essere superiore, migliore, inodore; notti costellate da una miriade di luci sparse qua e là sui pendii più impervi, a svelare insediamenti altrimenti invisibili che non sembrano intenzionati a lasciare quella non semplice vita; banani, piante di canapa e cardamomo selvatici, cespugli di the e di pepe himalayano; donne e uomini di ogni età, tutti rigorosamente o scalzi o in ciabatte di plastica, a portare sulla schiena, sostenendole con la sola forza della fronte, gerle dal peso indicibile con una dignità sconosciuta a noi occidentali, artefici della drammaturgica arte della lamentela per la qualunque; turche maleodoranti e malridotte, acqua quasi sempre fredda e non potabile, blackout frequenti e riscaldamenti assenti.

Servirà ancora molto, moltissimo lavoro prima che il documentario possa dirsi concluso, ma l’armonia che regna sovrana in un gruppo così eterogeneo e la potenza emotiva sprigionata dalle voci delle tante persone intervistate mi fa dire solo una cosa: seguite gli sviluppi di questo progetto (Instagram: @documentario_garima), perché ho la netta sensazione che potrà arricchire voi quanto sta arricchendo noi.

Kevin Cortella

Foto di Alessandro Polla